Il nostro approccio all’immunoterapia

Guardare al passato per capire il futuro
Il cancro è una malattia antica. Gli egizi la credevano una punizione divina, gli antichi greci un eccesso di bile nera nel corpo. E già i romani tentavano di estirparla con la chirurgia, un approccio che rimase l'unica via praticabile per 2000 anni.
Fu durante il XIX secolo, proprio quando lo sviluppo dell'anestesia faceva avanzare le tecniche chirurgiche, che una nuova idea di cura mosse i primi timidi passi. Nel 1980 il medico newyorkese William Coley iniziò a iniettare dei batteri nei suoi pazienti oncologici. Sebbene solo abbozzato, il principio delle cosiddette “tossine di Coley” era già quello della moderna immunoterapia: stimolare il sistema immunitario per combattere i tumori. I tempi, però, non erano maturi. Nonostante qualche evidenza concreta della validità dell'approccio, i risultati positivi non si riuscivano a replicare, e, con l'invenzione nel corso del XX secolo di radioterapia e chemioterapia, le “tossine di Coley” vennero accantonate.

Il XX secolo: una svolta in oncologia
Il 1903 è una pietra miliare nella storia dell'oncologia: solo 5 anni dopo la scoperta del Radio da parte di Marie Curie, la radioterapia fu applicata con successo sui primi pazienti. Le radiazioni si dimostrano subito capaci di eliminare le cellule tumorali, ma non essendo selettive possono ledere anche il tessuto sano.
La chemioterapia, sviluppata durante la seconda guerra mondiale, costituì un ulteriore importante passo avanti nella lotta al cancro. Una speranza concreta per i pazienti, anche per quelli metastatici. La chemioterapia colpisce le cellule che si dividono rapidamente, proprio come fanno le cellule tumorali. Tale caratteristica però è comune anche a diversi tipi di cellule normali, per esempio quelle del sangue e del midollo osseo, che dunque possono venire danneggiate.
L'efficacia della radioterapia e della chemioterapia contro i tumori era e rimane indiscutibile. Tuttavia, sebbene negli ultimi 70 anni questi approcci si siano continuamente affinati, rimangono ancora dei limiti: ci sono casi in cui le terapie non funzionano, o smettono di farlo, e i pazienti soffrono di diversi effetti collaterali.

Le terapie per il cancro oggi

Le terapie mirate
Uno degli approcci più recenti per battere il cancro si basa sull'individuazione di specifiche mutazioni geniche che guidano la proliferazione delle cellule maligne. L'obiettivo è bloccare la crescita del tumore sviluppando farmaci in grado di interferire con le molecole che le cellule tumorali esprimono in maniera caratteristica. Farmaci che abbiano cioè un target preciso e non agiscano in modo indiscriminato su tutte le cellule che si moltiplicano velocemente. È questo il principio delle terapie mirate a base di anticorpi monoclonali, progettati per legarsi a specifiche proteine sulla superficie delle cellule malate guidando l'azione antitumorale.

L'immunoterapia
Il tumore è estremamente adattabile, e può sviluppare delle resistenze ai farmaci, che possono vanificare la strategia messa in campo per eliminarlo. Per questo, per combatterlo, serve un sistema flessibile, che si è plasmato nel tempo proprio per difendere l'organismo dalle più disparate minacce: il sistema immunitario. Il suo ruolo è quello di rilevare e di distruggere tutto ciò che è estraneo al nostro organismo, comprese le cellule che hanno subito delle alterazioni potenzialmente pericolose. Di norma, il sistema immunitario svolge il suo compito in modo efficace, eliminando la minaccia sul nascere. Purtroppo capita che fallisca e che un tumore abbia la possibilità di svilupparsi recando danno all'organismo. Ma è proprio dalla conoscenza di queste dinamiche e dalla consapevolezza delle potenzialità dei meccanismi di difesa del nostro organismo che nasce l'immunoterapia, il più innovativo degli approcci in oncologia.
Il principio è lo stesso delle “tossine di Coley”, cioè stimolare il sistema immunitario e aiutarlo a riconoscere e distruggere le cellule tumorali. Solo che invece dei batteri si usano dei farmaci sviluppati ad hoc.

A. Gli inibitori dei checkpoint
Un modo per aiutare il sistema immunitario a riconoscere e distruggere le cellule tumorali che per qualche motivo sfuggono al controllo è quello di togliere i freni ai nostri meccanismi di difesa – una strategia che nel 2018 è valsa il Premio Nobel per la Medicina a James P. Allison e Tasuku Honjo. Le cellule del sistema immunitario preposte a combattere i tumori sono le cellule T: sono dei veri killer ma sono anche dotate di meccanismi di controllo, dei checkpoint immunitari che frenano la loro attività e impediscono di dare luogo a risposte eccessive. A volte i freni del sistema immunitario sono iperattivati oppure vengono sfruttati dalle cellule tumorali a proprio vantaggio. Ed è in questi casi che i farmaci inibitori dei checkpoint possono fare la differenza. In realtà, questi farmaci da soli offrono benefici solo per il 20-30% dei pazienti oncologici, e alcuni tipi di cancro non sembrano rispondere affatto alla terapia. Capire il motivo è di fondamentale importanza per lo sviluppo di futuri trattamenti salvavita.

B. I fenotipi immunoterapici
I tumori non sono tutti uguali. A seconda della risposta immunitaria che scatenano possono essere divisi in tre gruppi, tre “fenotipi immunitari”.
I tumori che scatenano una ridotta risposta immunitaria sono detti “deserti immunitari”. Un'espressione che indica la totale assenza di cellule T in sede tumorale. Il tumore dunque non viene attaccato.
Quando invece la risposta immunitaria c'è ma è inefficace, si parla di “tumori immunologicamente esclusi”. In questi casi le cellule T sono presenti in sede tumorale, ma non riescono ad aggredire il cancro. Un po' come dei soldati che assaltano le mura di un castello senza riuscire a scalarle e penetrare all'interno.
Nei cosiddetti “tumori infiammati”, infine, la risposta immunitaria è attiva. L'esercito di cellule T ha riconosciuto il tumore, è schierato ed è pronto ad attaccare. Tuttavia, potrebbero esserci ancora alcuni fattori inibitori che impediscono l’eliminazione delle cellule tumorali.
I tre fenotipi sono espressione del punto in cui il processo di risposta del sistema immunitario si interrompe. Nel caso dei “deserti immunitari” il processo si blocca prima di riconoscere il tumore come minaccia, oppure prima di riuscire a reclutare le cellule T o ad attivarle. Per i “tumori immunologicamente esclusi” il blocco può essersi verificato nel momento in cui le cellule T devono migrare verso il tumore o quando si infiltrano nella neoplasia. Nei “tumori infiammati”, invece, le cellule T possono avere difficoltà a riconoscere le cellule tumorali o a eliminarle.

DESERTI IMMUNITARI:
C'è una totale mancanza di risposta immunitaria. L'esercito delle cellule T non è presente nelle vicinanze del tumore e il tumore non viene attaccato

TUMORI IMMUNOLOGICAMENTE ESCLUSI:
C'è una risposta immunitaria inefficace. L'esercito di cellule T è presente in sede tumorale, ma non è in grado di attaccare il cancro. Un po' come dei soldati che assaltano le mura di un castello senza riuscire a scalarle e penetrare all'interno.

TUMORI INFIAMMATI:
Si vede una risposta immunitaria attiva. L'esercito delle cellule T ha riconosciuto il tumore, è schierato e pronto ad attaccare. Tuttavia, potrebbero esserci ancora alcuni fattori inibitori che impediscono di distruggere tutte le cellule tumorali.

Il futuro dell'immunoterapia contro il cancro
L’impegno dei ricercatori Roche è quello di comprendere sempre meglio la biologia del tumore, del sistema immunitario e delle loro interazioni: è solo così, infatti, che si potranno sviluppare opzioni terapeutiche in grado di cambiare la vita delle persone.
In particolare, Roche sta sviluppando nuovi farmaci in grado di interferire con ciascuna delle sette fasi di cui è composto il processo con cui il sistema immunitario riconosce il tumore. Una strategia per contrastare la crescita dei “deserti immunitari”, per esempio, è utilizzare un vaccino antitumorale personalizzato, cioè specifico per il tumore del singolo paziente, con lo scopo di generare cellule immunitarie in grado di riconoscere quella specifica neoplasia. Stiamo inoltre lavorando per sviluppare farmaci che stimolino l’infiltrazione delle cellule T nel tumore o che rinvigoriscano le cellule T già presenti perché eliminino le cellule tumorali.
Parallelamente agli approcci che mirano a rafforzare e potenziare processi già esistenti nel sistema immunitario, Roche sta anche sviluppando farmaci per stimolare una “immunità sintetica”. Un esempio sono gli anticorpi bispecifici, cioè molecole progettate per legarsi da una parte a una proteina sulla superficie di una cellula tumorale e dall'altra a una proteina sulle cellule T, riunendole come una calamita. In questo modo sarà possibile pilotare le cellule T direttamente sul bersaglio da attaccare.
Bisogna però esserne consapevoli: nessun farmaco da solo potrà mai fare tutto. Per aumentare le possibilità di vincere la malattia la strada da seguire è quella di una strategia combinata che associ l'immunoterapia più adeguata al tipo di tumore ad approcci chemioterapici, radioterapici o a terapie mirate.
L'obiettivo è quello di costruire regimi farmacologici su misura per le esigenze di ogni singolo paziente. Una sfida difficile, estremamente complessa, di cui cominciamo a vedere i risultati, e su cui siamo impegnati più che mai. Siamo alle porte di una nuova era nella storia della lotta al tumore, e Roche è protagonista di questa rivoluzione.

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