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30 anni della legge 104, ma come si è evoluta?
È considerata la normativa di riferimento per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone disabili. Ma come si è trasformata in tre decenni dall’approvazione? «L’innovazione più importante», dice Vincenzo Falabella, presidente di Fish onlus, Federazione italiana per il superamento dell’handicap, «è stata rappresentata da un cambiamento culturale: la persona oggi viene prima della disabilità»

Trent'anni fa entrava in vigore la “legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti della persona handicappata”. Ma com’è cambiata dopo tre decenni? Cosa è rimasto di quello slancio sociale da cui è nata e su cosa invece siamo ancora indietro? Certamente e per fortuna il linguaggio si è evoluto e la legge, considerata la normativa di riferimento delle persone disabili, è stata la mappa dei diritti, dei permessi, delle agevolazioni fiscali, delle detrazioni per le persone con disabilità e di chi le assiste. Estremamente innovativa sotto diversi punti di vista, la legge è certamente ancora molto attuale ma può essere ampliata e migliorata. «La 104», spiega Vincenzo Falabella, presidente di Fish onlus, Federazione italiana per il superamento dell’handicap, «ha rappresentato, e ancora rappresenta, un cambiamento epocale perché è nata dalla consapevolezza dell’intero movimento associativo che si occupa di disabilità e malattie di quanto fosse fondamentale iniziare a parlare con la politica nazionale. Allora c’erano tante organizzazioni territoriali e forse per la prima volta si resero conto che davvero l’unione fa la forza». L’elenco delle malattie che danno diritto alle agevolazioni riconosciute dalla Legge 104 è contenuto in una tabella Inps, aggiornata e completa di tutte le patologie, che distingue vari gruppi e sottogruppi: dai deficit funzionali all’apparato cardiocircolatorio ai disturbi di tipo psichico; dalle patologie congenite alle malattie neurologiche. Per chi aveva e ha le patologie presenti nell’elenco la legge è intervenuta in ambito lavorativo, scolastico, dell’inclusione sociale e lo ha fatto con maggiore consapevolezza negli ultimi anni perché «quando nel 1992 è entrata in vigore», racconta Falabella, «c’era ancora la predominanza dell’elemento medico su tutto il resto. Oggi invece viene meno l’aspetto medico-centrico, si vede più la persona, tutto è incentrato sulla persona. Una volta si puntava sull’assistenza, oggi sulle pari opportunità, sull’inclusione, sul riconoscimento dei diritti.
Insomma si è capito di come la persona venga prima della disabilità e che soprattutto a fare la disabilità è l’interazione con il contesto in cui vive». Oggi stiamo vivendo una fase di rinnovamento del quadro legislativo sulla disabilità, con la legge delega che rappresenta l'attuazione di una delle riforme previste dalla Missione 5 “Inclusione e Coesione” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: «La delega ripenserà gli interventi normativi sulla disabilità alla luce dell’evoluzione culturale che è avvenuta a livello globale», spiega Falabella. «I bisogni rimangono gli stessi e differenti da persona a persona: la legge quadro di oggi, rispetto alla 104, deve riuscire a costruire sistemi duttili nei confronti dei reali bisogni soggettivi dei singoli cittadini con disabilità. I decreti arriveranno entro la primavera del 2024, c’è un gruppo politico e uno tecnico che stanno già lavorando, noi come Fish monitoreremo il tutto e cercheremo di dare il contributo necessario affinché i decreti abbiano un concreto impatto sulla vita dei cittadini con disabilità e le loro famiglie».
Una cosa è certa: la cultura dell’inclusione merita una continua attenzione e manutenzione, non solo da parte degli interessati e degli esperti, ma di tutti. «Serve una manutenzione e una sollecitazione affinché si smetta di intervenire a compartimenti stagni e nell’emergenzialità senza una programmazione articolata e puntuale rispetto ai bisogni», dice Falabella. «Ad esempio guardando alla scuola senza pensare che la scuola sia un ponte per il lavoro. O come se la vita delle persone con disabilità fosse divisa in fasi che chiedono risposte standard: dagli 0 ai 18 anni come minori, poi dai 18 ai 65 come adulti e infine dopo i 65 come anziani. Bisogna riuscire – e mi auguro che la delega lo faccia – ad armonizzare il progetto di vita della persona con disabilità, che non deve essere legato a spartiacque anagrafici ma deve essere armonico rispetto alla crescita della persona, accompagnandola».
“Spazio Parentesi”, la prima Academy per i pazienti oncologici
Ha aperto a Milano Spazio Parentesi, oltre 500mq, messi a disposizione dalla Scuola Europea di Oncologia, dedicata all’informazione e alla formazione di pazienti oncologici. «Curare non basta», dice Marco Alloisio, presidente di Lilt Milano Monza Brianza. «Per convivere con il tumore servono strumenti concreti»

Si chiama “Spazio Parentesi” ed è la prima Academy in Italia dedicata a chi ha vissuto l’esperienza di un tumore. Un luogo dove è possibile imparare a vivere meglio. Dallo scorso 4 febbraio, per i pazienti oncologici, gli ex pazienti e i loro familiari è iniziata una nuova storia di benessere nel cuore di Milano, al numero 37 di viale Beatrice d’Este, in una sede di 500 metri quadrati appena ristrutturata e resa disponibile dall’European School of Oncology - Eso, partner del progetto. La data d’inaugurazione, scelta dalla Lilt Milano Monza Brianza, promotrice dell’iniziativa, ha coinciso con il “World Cancer Day”.
«Il tumore», spiega Marco Alloisio, presidente di Lilt Milano Monza Brianza, «è stato derubricato a patologia cronica grazie a terapie sempre più mirate. La sopravvivenza è aumentata del 36% in un decennio: un italiano su 17 vive con una diagnosi di cancro. Lilt vuole aiutare le persone che hanno vissuto l’esperienza del tumore a guardare oltre, perché salute è sinonimo di benessere. Dopo prevenzione primaria e diagnosi precoce, entriamo nel mondo della prevenzione terziaria, perché curare non basta. Per convivere con il tumore servono supporto e strumenti concreti. Qui i pazienti possono imparare una cosa essenziale: mettere la malattia tra “parentesi”».
Le due sale dello Spazio sono state intitolate a Umberto Veronesi e a Gianni Ravasi, due milanesi doc che non solo sono stati presidenti della Lilt, ma anche padri dell’oncologia di fama internazionale. Spazio Parentesi offre tre percorsi: “Mi prendo cura di me” che si ispira ad un modello dell’University of Pittsburgh Medical Center, il centro medico dell’Università di Pittsburgh, e prevede 16 ore articolate in tre aree principali di intervento: attività motoria, alimentazione e supporto psicologico e motivazionale; “Corpo-mente” nato dal presupposto che il senso del tempo può essere ripensato e assumere connotazioni diverse da quelle che spesso vengono associate alla malattia, è una proposta di lezioni rigenerative, frutto dell’esperienza dei laboratori artistici ArtLab Lilt (pittura, scultura e manualità artistica, yoga, pratiche meditative, ballo, movimento posturale, risveglio muscolare, I Viaggi di ArtLab), per riscoprire la bellezza di sé, degli altri e del mondo e infine “I corretti stili di vita”, perché un terzo di tutti i tumori potrebbe essere prevenuto seguendo stili di vita sani. Il terzo percorso è un’opportunità aperta a tutti che propone attività singole o combinate, a cura di un team di esperti, sulla corretta alimentazione, la disassuefazione dal fumo e la gestione dello stress.
«La diagnosi», sottolinea Alberto Costa, segretario generale dell’Eso, «rappresenta un vero e proprio spartiacque tra il “prima” e il “dopo”, e la persona si ritrova in una realtà che non ha nulla a che fare con ciò che era la sua quotidianità fino a poco tempo prima. Spazio Parentesi si sviluppa in questo ambito, prendendo per mano chi sta affrontando una malattia oncologica. Ispirandoci al modello americano dell’Università di Pittsburgh, declinato alla realtà nostrana, impostiamo le basi di una sana alimentazione, di una corretta attività fisica e valutiamo insieme lo stato dell’assetto psicologico. In altre parole, viene offerto un aiuto pratico per fare chiarezza, migliorare le proprie consapevolezze e prendersi del tempo per sé stessi». È stato stimato che, nel 2020, fossero circa 3,6 milioni gli italiani che avevano avuto una diagnosi di tumore. Si tratta del 6% della popolazione: un dato rilevante se si pensa che, rispetto alle stime prodotte nel 2010, è stato registrato un aumento del 36%. Le donne viventi con pregressa diagnosi di tumore, due anni fa, erano poco meno di due milioni mentre gli uomini circa 1,7 milioni. Anche se il tempo intercorso dalla diagnosi fino a definire la guarigione varia da tumore a tumore, e tra uomini e donne, è stato stimato che il 52%, quindi oltre la metà delle donne cui è stato diagnosticato un tumore, possano considerarsi guarite o destinate a guarire. Tra gli uomini questa percentuale è più bassa, si attesta attorno al 39%, a causa della maggior frequenza di tumori a prognosi più severa. Dopo l’intervento, durante le cure o subito dopo c’è bisogno di tornare a una nuova vita, fatta di piccoli ma continui passi avanti, all’insegna del benessere, che deve comprendere opportuni accorgimenti ma anche momenti di alleggerimento, di sostegno e condivisione, per affrontare dubbi e preoccupazioni con la sicurezza di essere compresi e aiutati.
Screening Neonatale: l’aggiornamento del panel nazionale rimane fermo
La legge 167 del 2016 che introduceva lo Screening Neonatale obbligatorio in tutta Italia ha rappresentato una svolta in tema di diagnosi precoci e quindi nella possibilità di cura. Ma il panel delle malattie, che doveva essere aggiornato nel 2019, rimane ancora fermo. Perché?

Grazie alla legge 167 del 2016 in Italia ogni nuovo nato viene sottoposto gratuitamente, a poche ore dalla nascita, allo Screening Neonatale Esteso (SNE) un test che permette di identificare oltre 40 malattie metaboliche, patologie gravi che, se non trattate precocemente con diete salvavita e farmaci portano rapidamente a disabilità quando non anche alla morte. «Grazie allo Sne», spiega Manuela Vaccarotto, vice presidente di Aismme, Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie, «nel 2020 sono stati identificati e salvati dalle conseguenze della malattia ben 426 neonati, uno ogni 1.250 nati. Non è un numero, sono piccole persone, cui è stata data l'occasione di crescere e vivere una vita normale. Ricordiamo che lo Sne è un’eccellenza del nostro Paese, dal momento che l’Italia è l’unico in Europa ad avere una Legge che applichi a tutti i nuovi nati un test di screening per un numero di malattie così esteso e che preveda un vero e proprio percorso organico di organizzazione e presa in carico dei pazienti. Ma non è ancora abbastanza». Pur essendo a livello mondiale uno dei più completi strumenti di diagnosi precoci per numero di patologie inserite nel pannello, ci sono altre malattie che potrebbero rientrarvi.
La legge 167 prevedeva infatti un aggiornamento periodico delle patologie screenate dopo tre anni dalla sua approvazione, quindi nel 2019, poi ridotti a due con un successivo emendamento. Questo per poter godere dei progressi della ricerca che trova nuovi percorsi di cura, trattamenti e anche nuovi metodi di screening. Ma l’aggiornamento non è mai avvenuto: dal 2016 nessuna nuova malattia è stata introdotta e l’ultimo dei termini previsto per la revisione è scaduto 8 mesi fa. Aismme, insieme ad altre 25 associazioni di pazienti rari ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio Draghi, al ministro della Salute Speranza e ai Sottosegretari Sileri e Costa, per sollecitarli a prendere i provvedimenti necessari per l’allargamento dello screening. «Inizialmente ci dicevano che le malattie non potevano essere inserite perché mancavano gli studi di Hta-Health Technology Assessment, obbligatori secondo la formulazione originaria della legge», continua Vaccarotto. «Ora, però, questo obbligo è caduto e ogni giorno che passa significa inutili sofferenze, disabilità e morte per i bambini non identificati precocemente, che non possono accedere a trattamenti e diete che potrebbero bloccare il decorso della malattia».
Quali sono le patologie in attesa di entrare nel pannello di Screening? «La prima è l’atrofia muscolare spinale, Sma, ma ci sono già i requisiti anche per le Lisosomiali: MPS I, Fabry, Gaucher, Pompe; per le immunodeficienze congenite e la sindrome adrenogenitale», dice la vice presidente di Aismme. «Non solo. Hanno le caratteristiche per entrare nel pannello anche l’alfa-mannosidosi, il deficit di Aadc, l’adrenoleucodistrofia legata all'X (X–Ald), la distrofia di Duchenne e la leucodistrofia metacromatica. Parliamo davvero di patologie terribili ma che in molti casi sono trattabili con diete-salvavita, farmaci, terapie geniche, trapianti d’organo prima che si manifestino i sintomi. Solo se vengono diagnosticate precocemente». I dati registrano ogni anno in Italia l’aumento del numero dei neonati screenati. «Questo è dovuto principalmente al fatto che nell’aprile 2021 il test di screening è stato attivato anche nell’ultima regione che rimaneva scoperta, la Calabria, ed è quindi finalmente attivo in tutto il territorio nazionale», conclude Vaccarotto. «Va anche sottolineato che molte regioni hanno iniziato ulteriori progetti pilota di screening su nuove malattie, ampliando autonomamente il loro panel. Questo però crea una vergognosa disparità di trattamento dei neonati tra regione e regione. In un Paese civile non si può pensare che la sorte di un bambino sia legata al luogo in cui nasce. La scienza sta andando avanti, ed è assurdo che le nuove scoperte della ricerca non possano essere applicate per migliorare la vita dei bambini affetti solo perché questi non vengono identificati in tempo. Se molti bambini possono arrivare a vivere una vita normale grazie alla scienza, non possiamo condannarli a morire per burocrazia».
Autismo, quali fattori alla base delle difficoltà nell’interazione sociale?
Un team interdisciplinare e internazionale, coordinato dall’Istituto Italiano di Tecnologia, e composto da ricercatori dell’Irccs Istituto Giannina Gaslini di Genova e dell’Università di Amburgo, ha studiato come le persone con autismo hanno una specifica difficoltà nel leggere correttamente gli elementi significativi dei gesti altrui

Interpretare il movimento è fondamentale per interagire: che si tratti di prevedere la mossa di un avversario, come nel basket, o anticipare l’intenzione di un’altra persona di passarci un oggetto. Che succede quando non siamo in grado di leggere i movimenti degli altri? Uno studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, indaga questa capacità interpretativa in una condizione come l’autismo che si caratterizza proprio per difficoltà nell’interazione sociale. La ricerca ha rivelato differenze tra sviluppo tipico e autistico sia a livello di “scrittura” che di “lettura” dei movimenti, come se esistessero codici diversi. Lo studio è stato portato avanti da un team interdisciplinare e internazionale composto da matematici, fisici, psicologi, medici e neuroscienziati dell’Istituto Italiano di Tecnologia, dell’Irccs Istituto Giannina Gaslini di Genova e dell’Università di Amburgo. «Le persone con autismo e quelle senza autismo si muovono in maniera diversa e questo spiega, almeno in parte, perché non sempre si comprendono», dice Cristina Becchio, ricercatrice dell’Istituto Italiano di Tecnologia e professoressa ordinaria di Neuroscienze cognitive all’università di Amburgo. «L’esistenza di una dissimilarità cinematica, cioè del fatto che bambini con autismo si muovano in maniera dissimile da quelli con sviluppo tipico, ha delle conseguenze importantissime, perché impatta sulla possibilità di comprensione reciproca».
Questa differenza potrebbe spiegare, almeno in parte, le difficoltà che le persone con autismo incontrano nell’interazione con persone a sviluppo tipico nella vita di tutti i giorni. Di contro, potrebbe spiegare perché anche le persone a sviluppo tipico possono incontrare difficoltà nell’interazione con persone con disturbi dello spettro autistico. Lo studio è stato diviso in due fasi: in una prima fase, di esecuzione, i ricercatori hanno studiato come l’informazione relativa all’intenzione è scritta nel movimento tipico e autistico. Per farlo hanno registrato, utilizzando tecniche di cattura del movimento abitualmente usate anche nell’ambiente cinematografico (motion capture), azioni eseguite da bambini con sviluppo tipico e bambini con autismo con intenzioni diverse. In particolare, i bambini erano istruiti ad afferrare una bottiglia per poi versare dell’acqua (raggiungere per versare) oppure afferrare la stessa bottiglia per poi metterla in una scatola (raggiungere per mettere). In un secondo momento, sono stati utilizzati i video delle azioni registrate nella prima fase per studiare la capacità di bambini con sviluppo tipico e bambini con autismo di leggere l’intenzione dal movimento. I bambini potevano vedere solo la prima parte dell’azione (fino al raggiungimento della bottiglia) e veniva chiesto loro di indovinare l’intenzione: versare o spostare.
A livello di scrittura, lo studio ha rivelato differenze in come l’informazione intenzionale è scritta nel movimento tipico e autistico. Seguendo l’analogia del testo scritto, si può dire che i bambini con disturbi dello spettro autistico scrivono con una grafia diversa rispetto ai bambini a sviluppo tipico. Questa dissimilarità cinematica impatta sulla possibilità di lettura reciproca e in particolare sulla possibilità di identificare nella cinematica quelle variazioni che veicolano informazione circa l’intenzione. Utilizzando tecniche matematiche simili a quelle utilizzate per studiare il codice neurale, ovvero come i neuroni trasmettono informazione, i ricercatori hanno studiato come l’informazione relativa all’intenzione è codificata e letta nel movimento. Detto in maniera più semplice, i ricercatori hanno studiato come l’intenzionalità si traduce in movimento in un soggetto e come questo movimento viene poi letto da un’altra persona. Lo studio ha dimostrato come i bambini con autismo abbiano difficoltà a identificare le variazioni informative nella cinematica tipica, ma non in quella autistica, e viceversa, come i bambini con sviluppo tipico abbiano difficoltà a identificare le variazioni informative nella cinematica autistica, ma non in quella tipica.
La scoperta è importante perché conferma l’osservazione aneddotica, riportata da molte persone con autismo, secondo la quale le difficoltà di interazione sociale riguarderebbero l’interazione con persone con sviluppo tipico, ma non l’interazione con altre persone autistiche. «L’autismo è stato spesso paragonato ad una sorta di cecità mentale», aggiunge Becchio. «Il nostro studio mostra tuttavia come i bambini autistici non siano "ciechi" all’informazione contenuta nei caratteri motori. Vedono i caratteri, ma non sempre sono in grado di identificarli e non sanno leggerli. Oppure li leggono diversamente. La sfida per il futuro è capire se sia possibile insegnare a leggere la mente nel movimento, come si insegna a leggere a scuola».
La voce alle associazioni di Pazienti
Tessere Smart Share, una speranza (condivisa) per i malati reumatici
Sono 5,5 milioni i malati reumatici residenti in Italia e un progetto di telemedicina, partito da Rieti e promosso da Anmar, l’Associazione nazionale malati reumatici, ha l’obiettivo di mettere in relazione tutti gli attori che navigano attorno a un paziente per migliorare la sua qualità della vita

È nato nell’autunno dello scorso anno “Tessere Smart Share”, un progetto di sanità digitale destinato a migliorare la qualità della vita dei malati reumatici in Italia. È partito da Rieti, a pensarlo e promuoverlo, l’Associazione nazionale malati reumatici in collaborazione con la Asl del comune, la Società italiana di reumatologia (Sir), la Federazione italiana dei medici di Medicina generale (Fimmg) e la Federazione italiana dei titolari di farmacia Italiani (Federfarma), con la supervisione del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità.
«Sulla scorta del mio percorso di paziente», spiega Silvia Tonolo, presidente dell’Anmar, «mi sono chiesta se fosse possibile trovare un sistema per mettere tutti gli attori che navigano attorno a un malato in rete: il medico di medicina generale, il farmacista, lo specialista, l’Asl. Tutti devono poter dialogare con tutti, anche a distanza. Così, da questa esigenza, è nato il nostro progetto: una piattaforma che ha la capacità di interfacciarsi con tutte le altre già esistenti e che proprio interconnette i vari sistemi informatici di quanti ruotano attorno ai pazienti». La scelta di Rieti non è casuale. «Volevamo far capire alle istituzioni che, se si può fare in un territorio particolare come questo, dove ricadono Amatrice e altre località colpite dal terremoto del 2017, l’iniziativa può essere replicata ovunque. Ci stiamo muovendo da tempo per farlo apprezzare dalle istituzioni nazionali, e crediamo che i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza possano essere un’utilissima opportunità per replicare il progetto anche in altre città italiane e su altre patologie». La presidente dell’Anmar indica le zone più disagiate, come i comuni di montagna, soprattutto nel periodo invernale, oppure le isole minori. «Talvolta si devono percorrere centinaia di chilometri per una semplice consultazione che potrebbe essere fatta al telefono dopo aver preso visione del quadro clinico e con una condivisione veloce delle informazioni appunto».
L’Anmar sta coinvolgendo nel progetto altre due città italiane: Benevento e Pisa. «C’è sempre da superare l’ostacolo dei vari sistemi in uso nei singoli territori, ma ci stiamo lavorando. Benevento è un modello virtuoso perché c’è un confronto serrato e proficuo tra reumatologi e specialisti di varie branche. Pisa invece vanta centri specializzati e di ricerca all’avanguardia. Si parla da anni della digitalizzazione: va bene, ma se non c’è uniformità tra le regioni è tutto inutile. Ci sono territori che addirittura non hanno ancora la banda larga. Ecco perché credo che questo sia un progetto virtuoso anche per lo Stato: le procedure sarebbero più rapide ed efficaci, si sprecherebbero meno soldi e meno tempo. Sgrava di certi costi il Sistema sanitario nazionale: abbiamo calcolato che ammontano a 24 milioni le giornate lavorative perse nell’arco di un anno, soltanto per le patologie di cui ci occupiamo noi». L’emergenza Covid ha evidenziato alcune drammatiche problematiche del sistema sanitario italiano. «Appare evidente e urgente la necessità di riorganizzare la medicina territoriale, con una forte implementazione della telemedicina, che potrebbe far superare l’attuale contrapposizione ospedale-territorio soprattutto nella gestione dei pazienti cronici», chiosa Tonolo.
Malattie rare, basta guardare solo la punta. Occupiamoci del sommerso
«Le Associazioni di pazienti sono fondamentali», dice Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo, Federazione Italiana Malattie Rare Onlus. «Costituiscono un punto di riferimento per tanti pazienti, luoghi fisici o virtuali in cui si incontrano persone con lo stesso tipo di problema. Così è possibile confrontarsi per avere suggerimenti concreti e reali»

«Siamo una specie di iceberg: si vede la punta ma c’è da scoprire il sommerso. Vale per l’attività che svolgiamo noi ma anche per le patologie di cui ci occupiamo». Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo, Federazione Italiana Malattie Rare Onlus, esordisce così quando le chiediamo di tirare le somme sulla Giornata nazionale delle malattie rare, celebrata il 28 febbraio in tutto il mondo. In Italia, tutti i monumenti più rappresentativi sono stati illuminati di rosa, azzurro e verde. «Il bilancio è certamente positivo», sottolinea, «anche se non dovrei dirlo io. Dal nostro punto di vista è stata una campagna fantastica, perché abbiamo dedicato un intero mese alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle malattie rare: una sola giornata non ci bastava più, era limitativa. Abbiamo ottenuto una grandissima risposta, volevamo raggiungere i cittadini comuni piuttosto che i malati, che già sono informati».
Le malattie rare riguardano tra i 2,2 e i 3,5 milioni di famiglie in Italia, 30 milioni in Europa e 300 milioni nel mondo. Il 72% è di origine genetica, due su cinque aggrediscono bambini e ragazzi under 18. Una malattia è rara quando ha una prevalenza inferiore a cinque individui su diecimila. Nell’ambito delle malattie rare sono comprese anche le malattie ultra rare, caratterizzate, da una prevalenza inferiore a un individuo su cinquantamila e i tumori rari. Le malattie rare ad oggi conosciute sono tra le 6mila e le 8mila. Ma solo per il 6% delle persone che ne è affetto esiste una cura. La maggioranza dei pazienti non ha accesso ai trattamenti. Il tempo medio per una diagnosi è di quattro anni, ma può arrivare fino a sette. «Ancor più drammatico», dice Scopinaro, «è che soltanto per 300 malattie sulle 8mila esistenti è stata trovata una terapia farmacologica, e per la maggior parte di esse non esistono al momento terapie riabilitative. Per molte non c’è neppure il riconoscimento dell’Inps. Attraverso un’analisi dei costi sociali abbiamo scoperto che una famiglia alle prese con una malattia rara spende 1.500 euro al mese da dedicare esclusivamente a tale problema, e in genere riceve poco supporto da parte dello Stato, soprattutto in certe regioni».
Che cosa possono fare le associazioni dei pazienti? «Tante cose. Per esempio, abbiamo promosso la legge 175, ovvero il Testo Unico sulle malattie rare, e questo è molto importante. Sedici articoli che rappresentano un passo avanti per i malati rari in Italia. La legge è il risultato di un lungo confronto tra il Parlamento e le associazioni dei malati rari. Il testo prevede inoltre l’istituzione di un fondo di solidarietà con una dotazione pari a 1 milione di euro annui a decorrere dall’anno 2022 finalizzato a favorire l’istruzione e l’inserimento lavorativo e sociale delle persone affette da malattie rare. È ancora insufficiente, ma è un primo passo. In Italia siamo persino avanti rispetto ad altri Paesi europei, visto che esiste la legge 279 del 2001, quella che, tra l’altro, ha istituito la rete nazionale per le malattie rare e introdotto il codice di esenzione su alcune patologie e le relative prestazioni sanitarie. Ha dato una serie di indirizzi utilissimi. Poi abbiamo la legge sullo screening neonatale esteso, che garantisce una prevenzione importante per evitare la mortalità dei bambini. C’è ancora moltissimo da fare per sostenere le famiglie e i pazienti, anche perché si va verso la concentrazione dei centri di specializzazione». Spesso infatti si è costretti a muoversi dal Sud al Nord, non è affatto facile e molti non possono permetterselo. «Sono di parte, ma credo che le associazioni siano fondamentali», prosegue Scopinaro. «Costituiscono un punto di riferimento per tanti pazienti, luoghi fisici o virtuali in cui si incontrano persone con lo stesso tipo di problema. Così è possibile confrontarsi per avere suggerimenti concreti e reali. Internet spesso non è un buon alleato: ci sono molte notizie utili ma anche troppe fake news, non è sempre così facile capire od orientarsi. A volte le associazioni servono a stimolare dottorandi e ricercatori per avviare delle ricerche, oppure spingono i governi a varare le leggi in materia».
C’è poi un ragionamento a parte che riguarda la ricerca. «Bisognerebbe ragionare come Unione Europea piuttosto che come singoli Paesi, occorre mettere insieme le forze e condividere studi e risultati. Telethon ha fatto moltissimo ma si occupa delle malattie genetiche, che costituiscono una larga parte. Insomma, non si copre tutto il fabbisogno. Dobbiamo mettere a sistema le tante ricerche che si fanno, poi prevedere incentivi fiscali per chi fa ricerca su queste malattie, anche perché a volte e magari per caso si scopre qualcosa di utile per altre patologie: meccanismi cellulari o enzimatici di cui non si era a conoscenza. Bisogna unire l’efficienza all’efficacia. Le famiglie con malati rari hanno un maggiore rischio di povertà, costi sociali ed economici elevati».
Dal mondo Roche
Meet2Talk, l’incontro per raccontare com’è vivere e convivere con il tumore al polmone
È partito il ciclo di incontri virtuali pensati come momento di informazione, formazione e approfondimento per le persone che vivono e convivono con un tumore al polmone e per i loro caregiver

Si chiama “Meet2Talk” è un ciclo di quattro incontri virtuali pensati come momento di informazione, formazione e approfondimento per le persone che vivono e convivono con un tumore al polmone e per i loro caregiver. I partecipanti potranno ricevere consigli e suggerimenti, porre domande e chiarire dubbi legati alla patologia e alla sua gestione quotidiana, attraverso il confronto diretto con un team qualificato di oncologi ed esperti multidisciplinari, tra cui quattro oncologi, un nutrizionista, un fisioterapista, uno psico-oncologo e un esperto legale. I momenti di confronto proseguiranno oltre i webinar, grazie alla possibilità di poter prenotare una sessione in video conferenza con i singoli specialisti, che metteranno le loro competenze al servizio dei partecipanti per rispondere ai loro interrogativi sulle buone pratiche da seguire per una corretta alimentazione e per un’adeguata attività fisica, così come per una migliore gestione dello stress emotivo e una maggior consapevolezza sui propri diritti. Il progetto ha ricevuto il patrocinio delle associazioni di pazienti Ipop Onlus (Insieme per i Pazienti di Oncologia Polmonare) e Walce Onlus (Women Against Lung Cancer in Europe – Donne contro il tumore del polmone in Europa), da anni impegnate nella lotta al tumore al polmone e a fianco dei pazienti e dei loro familiari.
Il primo appuntamento “Siamo ciò che mangiamo?” è andato in onda il 7 marzo, durante l’incontro si è discusso delle problematiche nutrizionali del paziente con carcinoma polmonare e sul ruolo della nutrizione nella gestione della malattia. Il prossimo 19 aprile, alle 17, il secondo momento di confronto “Non mi fermo” per spiegare l’importanza dell’attività fisica per il benessere psico-fisico del paziente e per lo svolgimento delle normali attività quotidiane. A seguire gli altri due incontri conclusivi: il 19 maggio, sempre alle 17, “Non sei da solo” dove si indagherà sugli strumenti e sui servizi a disposizione dei pazienti per affrontare lo stress emotivo e psicologico determinato da una diagnosi di tumore al polmone e infine il 21 giugno, alle ore 18, “Al fianco dei pazienti” per mettere al centro il ruolo fondamentale delle figure più vicine al paziente nel suo percorso di cura che sono i caregiver e familiari e focalizzarsi sulle modalità di assistenza e supporto al malato, anche nella gestione della propria vita personale e lavorativa.
Per saperne di più e per iscriversi agli incontri ecco il link iscriversi: www.roche.it/it/il-nostro-focus/oncologia/tumore-del-polmone/meet2talk.html
Al via l’Ieepo 2022 per trasformare insieme il sistema sanitario
Il prossimo 21 marzo parte l’International Exchange Experience with Patients Organizations, l’appuntamento annuale organizzato da Roche Global in cui si incontrano centinaia di associazioni di pazienti da tutto il mondo. Il tema di quest’anno sarà: "Trasformare il sistema sanitario insieme"

Ieepo – International Exchange Experience with Patients Organizations è un appuntamento annuale organizzato da Roche Global in cui si incontrano centinaia di associazioni di pazienti da tutto il mondo. Nato nel 2008, oggi vede la comunità dei pazienti sempre più protagonista. È un momento di grande confronto e partecipazione per le associazioni di pazienti, che in questa occasione hanno l’opportunità di condividere esperienze, progetti e riflessioni finalizzate a migliorare la vita dei malati e delle loro famiglie. Ieepo oggi si è trasformato in una piattaforma virtuale in cui le comunità dei pazienti, attraverso lo scambio di esperienze, i materiali condivisi e l'interazione con esperti da tutto il mondo, possono acquisire competenze e rafforzare il proprio ruolo all'interno del sistema salute. Anche per il 2022 Ieepo sarà un percorso virtuale che inizierà con l'evento "Action for Change" previsto dal 21 al 23 marzo. L'evento partirà dalla call to action condivisa e costruita insieme alla comunità dei pazienti che hanno partecipato a Ieepo 2021, con la pubblicazione del Position Paper Humanising HealthCare: un appello per un cambiamento trasformazionale. Lanciato lo scorso dicembre, il position paper ha evidenziato le fragilità dei sistemi sanitari esposti alla pandemia da Covid-19 a livello globale e ha fatto emergere un bisogno di miglioramento e di cambiamento per far si che i pazienti siano davvero al centro del sistema salute e dell'assistenza sanitaria. Non a caso il tema di scelto per quest’anno sarà infatti "Trasformare il sistema sanitario insieme".
L’evento di kick off prevede un momento di plenaria dove saranno presenti i relatori, esperti internazionali di patient advocacy, del settore salute, industria e della politica. Durante l’incontro ci si confronterà sul ruolo che la comunità di Ieepo può avere nel guidare il cambiamento nel sistema salute, approfondendo l’importanza di una partnership multistakeholder. Non mancherà la condivisione di esperienze e best practice dalla comunità Ieepo. La plenaria proseguirà con l’incontro con Severin Schwan, ceo Roche. Un imperdibile appuntamento annuale di confronto in cui le associazioni di pazienti avranno la possibilità di sottoporre domande e dialogare sull’impegno dell’azienda. L’evento di kick off si concluderà con dei workshop in cui i rappresentanti delle associazioni lavoreranno in gruppi ristretti su temi specifici per redigere un action plan.
Se volete ricevere ulteriori informazioni o iscrivervi all'evento potete contattare la mail: [email protected]
Per saperne di più:
Link all’iniziativa: www.ieepo.com/en.html
Link all’evento di kick off: www.ieepo.com/en/events/act/agenda.html