I biomarcatori (abbreviazione di “marcatori biologici”) sono molecole, proteine o altre sostanze biologiche che possono essere misurate con precisione e accuratezza1 in diverse tipologie di campioni - es. di sangue, di liquido cefalorachidiano, ecc… Svolgono un ruolo importante nella ricerca medica, nella diagnosi delle malattie e nel monitoraggio del loro decorso.2
Due delle principali caratteristiche e dei primi segni dell’AD sono le “placche” e gli “ammassi” che si sviluppano nel cervello, causati dall’accumulo di alcune proteine. Fra i diversi biomarcatori che potrebbero dare un importante contributo all’identificazione precoce della malattia di Alzheimer, i più studiati misurano proprio queste proteine fornendo un aiuto nella diagnosi di AD:13
Proteina beta amiloide: la principale proteina costituente le placche cerebrali diffuse presenti nelle persone affette da AD
La proteina beta amiloide è fisiologicamente prodotta in condizioni di normale funzionamento del cervello.
In un cervello sano infatti, queste proteine vengono prodotte a un livello normale oppure vengono scomposte e rimosse una volta esaurita la loro funzione.14
Tuttavia, nelle persone affette da AD, queste proteine formano gruppi o “placche” attorno alle cellule cerebrali 12 che ne impediscono il normale funzionamento e, alla fine, ne causano la morte.
In soggetti affetti da AD, nel liquor cerebrospinale si è osservata una riduzione nella concentrazione delle proteine beta amiloidi correlata al processo di deposizione nelle placche cerebrali.
Proteina Tau e gli ammassi neurofibrillari
Come la beta-amiloide, la tau è una proteina che svolge un ruolo nella normale funzione cerebrale. In un cervello sano, i lunghi rami delle cellule cerebrali sono mantenuti organizzati dalle proteine tau.14-16
Tuttavia, nelle persone affette da AD, le proteine tau si ripiegano male e alla fine formano degli “ammassi” all’interno delle cellule neuronali (i cosiddetti ammassi neurofibrillari), provocandone l'alterazione e la lenta degenerazione.12
In soggetti affetti da AD, nel liquor cerebrospinale si osserva l’aumento dei livelli della proteina tau.
L’Alzheimer è una malattia altamente complessa. Imparare a gestire in maniera appropriata l’utilizzo dei biomarcatori di questa malattia, potrà migliorare la nostra comprensione del suo funzionamento, diagnosticarla precocemente e gestirla nel modo più adatto.
Sebbene i biomarcatori per confermare l'Alzheimer non siano ancora utilizzati di routine dai medici in ambito "clinico"3 (ovvero nella gestione dei pazienti), essi svolgono già un ruolo importante nella ricerca.4 Il potenziale impatto che questi biomarcatori potrebbero avere sul miglioramento dell’assistenza alle persone affette da Alzheimer è significativo.
Una maggior comprensione dei biomarcatori dell'Alzheimer può portare ad una maggior comprensione della malattia.
Oggi l’unico modo di fare una diagnosi certa di demenza di Alzheimer è attraverso l’identificazione delle placche amiloidi nel tessuto cerebrale, possibile solo con biopsia cerebrale, o dopo che è stata effettuata un'autopsia. Durante il decorso della malattia si può dunque fare solo una diagnosi di Alzheimer “possibile” o “probabile” basata su test neuropsicologici (per rilevare un eventuale deterioramento delle funzioni cognitive - es. memoria, linguaggio, ecc…) , esami clinici (es.sangue, delle urine o del liquido spinale) e tac cerebrali (per identificare eventuali segni di anormalità) per escludere altre possibili cause che possono portare a sintomi analoghi.5,6 Tuttavia, poiché i sintomi sono meno evidenti nelle fasi iniziali o sono attribuiti a normale invecchiamento, una diagnosi di Alzheimer precoce e accurata può essere difficile.7
I test sui biomarcatori potrebbero contribuire ad una diagnosi precoce, poiché i cambiamenti nei biomarcatori dell’AD si verificano decenni prima che i sintomi si manifestino.8,9
Monitorare la progressione della malattia.
Misurare i cambiamenti nei biomarcatori può aiutarci a capire quanto velocemente sta avanzando la malattia di una persona e, potenzialmente, a prevedere come potrebbe svilupparsi in futuro. 10,11
I biomarcatori sono già utilizzati a questo scopo negli studi clinici.10 Un uso più ampio del monitoraggio dei biomarcatori potrebbe aiutare i medici a costruire piani di cura personalizzati per le persone che vivono con l’AD.12
Misurare la risposta al trattamento.
Misurare i cambiamenti nei biomarcatori dell’AD può anche consentire ai medici di rilevare i primi segnali che una persona sta rispondendo – o meno – a un farmaco, 11 e di adattare il trattamento secondo necessità. Ciò svolge un ruolo importante negli odierni studi clinici e diventerà ancora più importante per i medici e le persone affette da AD non appena saranno disponibili trattamenti in grado di modificare il decorso della malattia. 2,12
(Oggi purtroppo non esistono farmaci in grado di fermare e far regredire la malattia e tutti i trattamenti disponibili puntano a contenerne i sintomi.6)
Oggi esistono due modi principali per misurare i biomarcatori dell’AD:
Esistono diversi tipi di scansioni cerebrali: dalle scansioni TC e MRI alle più sofisticate scansioni PET. Nell'AD, le scansioni PET ci permettono di osservare il cervello per vedere se si sono formate placche di beta-amiloide o grovigli di tau, o per misurare la loro crescita rispetto a una scansione precedente.2
Sebbene le scansioni cerebrali abbiano molti vantaggi (alcune di esse sono minimamente invasive e alcune comportano un rischio molto piccolo associato all'esposizione alle radiazioni 18), possono essere costose e richiedere molto tempo per coloro che si sottopongono ai test.17 Pertanto, questa forma di test può non essere lo strumento più pratico per un uso diffuso.17
Il liquido cerebrospinale (CSF) è un fluido limpido e acquoso che circonda il cervello e il midollo spinale.
Si ritiene che l'accumulo di placche di beta-amiloide e ammassi di tau nel cervello modifichi la quantità di queste proteine nel liquido cerebrospinale.19 Analizzando il livello di proteine beta-amiloide e tau nel liquido cerebrospinale, possiamo capire se l'AD si sta sviluppando nel cervello15 e potenzialmente individuare la malattia più precocemente.
Un campione di liquido cerebrospinale viene prelevato dalla parte bassa della schiena di una persona utilizzando un ago speciale,19 con una procedura simile all’anestesia spinale (epidurale) durante il parto.
Eseguita da operatori sanitari, i rischi associati a questa procedura sono minimi; gli effetti collaterali più comuni sono mal di testa e mal di schiena.19
Attualmente i biomarcatori per l’Alzheimer non sono ancora utilizzati nella pratica clinica* ma solo a scopo di ricerca, trovando applicazione principalmente nei trial clinici per lo studio di nuovi farmaci dove vengono usati come marcatori in risposta al trattamento.
Una delle priorità per gli scienziati che lavorano nel campo dell'AD è sviluppare esami del sangue più rapidi, meno invasivi e ampiamente accessibili per misurare i biomarcatori dell'AD. Ciò consentirebbe potenzialmente di condurre test sull’AD su una scala molto più ampia rispetto a quanto non permettano le metodologie attualmente a nostra disposizione. Inizialmente, potrebbe consentire ai medici dell’assistenza primaria (ad esempio i medici di base) di determinare se l’AD può essere la causa dei sintomi di una persona – e trasferirli a cure specialistiche per ulteriori test per confermare una diagnosi. In futuro, potrebbe anche supportare lo screening per l’AD prima che compaiano i sintomi.
(*Un biomarcatore deve essere convalidato da più studi, realizzati su gruppi di soggetti ampi e diversificati, prima di poter essere usato nella pratica clinica).
Riferimenti
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