I modelli matematici sono uno strumento utile per comprendere i dati osservati utilizzando rigore scientifico. Per definizione, i modelli sono delle semplificazioni di fenomeni molto complessi ma possono aiutare enormemente la nostra comprensione dei meccanismi di diffusione delle epidemie all’interno di una popolazione. Ad esempio, possiamo utilizzare un modello matematico per caratterizzare i tempi chiave della progressione di una malattia, come ad esempio la durata del periodo di incubazione (il tempo che intercorre tra l’infezione e la comparsa dei sintomi) e il periodo di infezione (il periodo di tempo nel quale un infetto puo’ trasmettere l’infezione) e stimare la velocità di diffusione di un nuovo virus (in termini tecnici, il numero di riproduzione), la sua severità (ad esempio la probabilità di ospedalizzazione o di morte dovuta all’infezione) e rispondere a molte altre domande del mondo reale per capire e gestire la trasmissione di virus e altri patogeni in situazioni endemiche o di emergenza, come quella che stiamo vivendo in questa pandemia.
Oltre a comprendere meglio i meccanismi di trasmissione e i dati osservati, i modelli matematici permettono anche di fare proiezioni ed esplorare scenari futuri. In altre parole, i modelli ci permettono di esplorare tramite simulazioni al computer l’impatto che diversi tipi di intervento (come ad esempio diverse strategie di vaccinazione o la chiusura delle scuole o il distanziamento sociale) possono avere sulla diffusione di un’epidemia senza che questi scenari vengano testati nella popolazione reale. Questo esercizio è utile perché permette di ottimizzare politiche di sanità pubblica e fornisce evidenza scientifica basata sui dati ai decisori politici.
Quando un nuovo virus entra nella popolazione umana e diventa trasmissibile da uomo a uomo, ha il potenziale di generare un’epidemia. Nelle prime fasi di un’epidemia, quando non esiste immunità, il numero di nuovi casi cresce in maniera esponenziale, ovvero molto velocemente.
Il conteggio del numero di nuove infezioni nel tempo può essere visualizzato tramite un grafico che mostra sull’asse orizzontale il tempo (ad esempio i giorni) e sull’asse verticale il numero dei nuovi contagi ad ogni punto temporale. In termini tecnici questo grafico mostra l’incidenza (ovvero il numero di nuovi casi nel tempo) o la curva epidemica, che nel gergo comune viene presentata come la curva dell’infezione. Da questa curva è possibile dedurre visivamente e in modo qualitativo la velocità con cui il numero di casi varia nel tempo, ma è difficile estrapolare previsioni quantitative. È per questo motivo che gli epidemiologi non guardano solo la curva epidemica ma utilizzano modelli matematici per estrapolare informazioni quantitative sulla velocità di trasmissione del virus nel tempo, ovvero stimano il numero di riproduzione durante l’evoluzione di un’epidemia.
Il numero di riproduzione di base, R0, rappresenta il numero medio di contagi prodotti da un infetto tipico all’inizio di un’epidemia quando la popolazione è completamente suscettibilie (ovvero non esiste alcuna forma di immunità o protezione contro l’infezione). Più grande è R0, più velocemente cresce la curva epidemica, ovvero il numero di infezioni. Per SARS-CoV-2 stimiamo che R0 è in media tra 2 e 4, ovvero ciascun infetto produce in media dai 2 ai 4 nuovi casi.
Assumendo che l’infezione dia immunità, ovvero resistenza contro la reinfezione, il numero di nuovi casi generati da un infetto cambia nel tempo. In altre parole, la crescita esponenziale ad un certo punto rallenta per via dell’immunità che si accumula nella popolazione perché mano a mano che l’epidemia avanza le persone infette entrano in contatto sempre di più con persone immuni (resistenti al contagio) e quindi Rt, ovvero il numero medio di nuovi contagi prodotto da un infetto al tempo t, diminuisce.
Un’epidemia è nella fase crescente quanto Rt è più grande di 1, ovvero in media ciascun infetto produce almeno un contagio, mentre è sotto controllo quando Rt è sotto 1. Analizzando l’andamento di Rt nel tempo è quindi possibile monitorare quantitativamente l’intensità della trasmissione e capire a che punto sia l’epidemia. Questo ci permette anche di fare previsioni e dedurre tendenze, almeno nel breve periodo.
Non tutti i modelli sono utilizzati per fare previsioni, alcuni si costruiscono per analizzare epidemie passate, in modo da capire meglio i meccanismi di trasmissione e rispondere in retrospettiva a domande ancora aperte. Poi ci sono i modelli predittivi, che sono modelli costruiti per analizzare i dati in tempo-reale e vengono utilizzati per fare previsioni, ad esempio per predirre il numero di casi, ospedalizzazioni o decessi a qualche giorno o settimana di distanza. Per proiettare nel futuro bisogna in primo luogo capire e riprodurre adeguatamente i dati osservati nel passato e nel presente.
Alla base di un modello vi è la sua struttura, che deve essere costruita attorno alle caratteristiche del patogeno che si sta considerando. Si cerca spesso di ricostruire nel modo più realistico e parsimonioso possibile la storia, il processo e il decorso di un’infezione. Una volta definita la struttura del modello si devono definirne i parametri. Per fare questo ci si può affidare a stime esistenti nella letteratura scientifica (questo può non essere adeguato per alcuni parametri ma può essere perfettamente valido per altri) e a metodi di inferenza statistica. Questi ultimi permettono di calibrare i parametri del modello sui dati osservati, ovvero fare in modo che il modello riproduca nella maniera più accurata possibile i dati osservati. Un modello adeguatamente parametrizzato può poi essere utilizzato per proiettare le variabili di interesse nel futuro. Le proiezioni si basano su ipotesi (implicite o esplicite) su come evolveranno le condizioni nel futuro – si può ad esempio ipotizzare che le condizioni restino invariate, o che cambino nel tempo.
Ovviamente, i risultati e le previsioni dipendono dalle ipotesi fatte. I modelli predittivi non forniscono certezze ma offrono scenari di come potrebbe evolvere l’epidemia in futuro in base alle ipotesi fatte. L’interpretazione corretta dei risultati e la comprensione delle ipotesi che stanno alla base di un modello sono tanto importanti quanto la previsione in sé.
Fin dall’inizio ci siamo basati sui dati e abbiamo costruito i nostri modelli in modo incrementale, in base alle informazioni che erano disponibili. All’inizio della pandemia, quando ci siamo trovati di fronte ad una totale assenza di informazioni, ad esempio sul contributo dei bambini alla trasmissione o un potenziale effetto della stagionalità, abbiamo adottato un approccio conservativo, assumendo ad esempio che i bambini siano suscettibili e in grado di trasmettere tanto quanto gli adulti e che la bella stagione non riducesse l’intensità di trasmissione. Alcuni studi recenti suggeriscono che i bambini potrebbero essere meno suscettibili all’infezione e che ci potrebbe essere un effetto della stagionalità sulla trasmissione del virus. Queste ad oggi restano ipotesi, ma dal momento in cui queste verrano confermate e stime quantitative saranno disponibili, i modelli verranno perfezionati. Questi ultimi evolvono nel tempo a pari passo con la disponibilità di dati e la conoscenza del virus.
Fare previsioni affidabili non significa fare previsioni certe e qualsiasi previsione ha un margine di incertezza. Per fare previsioni affidabili c’è bisogno di dati affidabili, modelli epidemiologici solidi e una parametrizzazione adeguata. Come spesso accade, l’esperienza (sia con i dati che con i modelli) aiuta e la discussione tra colleghi ed esperti, inclusa la peer-review, sono fondamentali.